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Un capitolo importante della storia dell’arte
naive è stato scritto e continua ad essere
scritto a Guastalla. Con radici profonde che
affondano ad oltre mezzo secolo fa. Ma come
nacque tutto questo? Perché non fu per niente
una moda effimera, ma un’espressività artistica
che sta attraversando i decenni? “La fortuna
della pittura naive - già scriveva nel 1974 il
critico Dino Villani - è il risultato di una
libera scelta del pubblico che le mostre
collettive e personali, nonché l’opera di
mercanti, agenti e trafficanti, hanno certamente
favorito, ma che non avrebbero avuto presa se
l’acquirente non avesse trovato in questa
pittura qualche cosa che parla ai suoi occhi ed
al suo spirito in modo diretto, senza
costringerlo a faticose ricerche di
interpretazione”.E Guastalla, nel settore, si
rivelò un’autentica “culla”. Non mancheranno
imitatori e finti ingenui - avvicinatisi per
pura e semplice attrattiva economica, ben presto
però spariti - comunque nella città ducale fra
gli anni Sessanta-Settanta s’accosteranno a
tavolozze e pennelli addirittura in una
quarantina, in gran parte completamente a
digiuno di stili e correnti pittoriche. Un
nucleo vivace e soprattutto numeroso, numeri da
capogiro se solo pensiamo che in quel periodo,
in tutta Italia, i naifs erano non più di
150-200. Un effervescente clima artistico
descritto a quei tempi efficacemente
dall’inviato di un settimanale nazionale che
scrive nel suo reportage di una zona cui vive
gente “nella cui natura sono presenti due
caratteristiche in contrasto come il senso
pratico e la visionarietà poetica”. Un mondo di
opere piene di colori, figure animali, vita
contadina, mestieri al tramonto, ricordi
partigiani, emozioni, fantasie, sogni. Ma anche,
a lungo, di precisi punti di riferimento nel
centro guastallese (una sorta di quadrilatero)
che risultano decisivi per comprendere la
portata di questo fenomeno divenuto un’autentica
calamita per gli artisti e per il pubblico. E
pedinando i naifs - per dirla come il critico
d’arte Alfredo Gianolio - si parte da corso
Garibaldi, da quell’area in cui un tempo
risiedeva la comunità ebraica. Lì aveva lo
studio Andrea Mozzali. Varcata la porta
d’ingresso, si scendeva di alcuni scalini per
giungere in un’ampia camera in cui il
pittore-scultore operava in un soppalco. Così lo
ricorda in uno scritto l’artista Giovanni
Miglioli: “Il Mozzali è al lavoro su un’alta
piattaforma lignea a ridosso della finestra del
suo studio, per sfruttare sino all’ultimo la
poca luce che la strada nel “Ghetto” gli
concede; sul cavalletto, utilizzando una
minuscola tavolozza dai pigmenti avaramente
esposti, il dipinto prende forma con paziente e
sapiente tecnica”. Accogliente e disponibile,
Mozzali era un punto di riferimento
irrinunciabile per i naifs guastallesi.
Unanimamente considerato in loco un maestro,
affascinava anche per il lungo legame che ebbe
con il geniale Antonio Ligabue. Dispensava
consigli a piene mani, dall’uso dei colori
acrilici alla tenacia che - a suo parere - non
doveva mai abbandonare l’artista spesso alle
prime armi (“Più disegni, più impari”). In quel
periodo Mozzali “continua a realizzare opere in
terracotta e ritratti per committenze private,
mentre i suoi dipinti risentono delle atmosfere
che si respiravano nel nostro territorio dettate
dall’arte naive che si andava affermando. Le sue
sono rappresentazioni surreali, ironiche,
satiriche da teatro del “grand guignol”, calate
anche nel contesto di vita guastallese;
rappresentazioni che ci rimandano a certi
soggetti di Bosch o Bruegel. La scelta di questa
linea artistica, che a fatica gli apparteneva,
nasceva probabilmente da motivi commerciali, ma
nonostante questo, le capacità di distinzione
che Mozzali mette in campo in queste opere sono
evidenti”. Nel terreno guastallese a dir poco
fertile sbocciò anche un appassionato “cantore”
dei naifs, cioè il critico autodidatta Nevio
Iori L’ingresso, lungo corso Garibaldi, dello
studio del pittore-scultore Andrea Mozzali. Ci
spostiamo quindi fra via Gonzaga (come libero
professionista aveva l’ufficio all’angolo con
via Cantoni) e via Trieste (dove abitava). Una
sua recensione era dir poco ambita, da qui il
“pellegrinaggio” verso i due luoghi citati, in
cui gli artisti sapevano di trovarlo. “La nostra
terra padana - scrisse Iori in quegli anni - se
si volesse essere dei campanilisti, dei
provinciali, si potrebbe asserire che è la più
prolifica e per questo la più assimilabile alla
cosiddetta scuola di Hlebine jugoslava. Infatti
da quando Antonio Ligabue e poi Bruno Rovesti -
con Pietro Ghizzardi - dei nostri naifs, hanno
avuto notorietà, potremmo dire dal ’65, ovvero
dopo la morte di Ligabue, si è avuto un fermento
crescente di pittori più o meno ingenui, più o
meno naifs, che merita attenzione e continuo
aggiornamento”. Porta avanti un’intensa attività
storico-critica e dai primi anni Sessanta in poi
si verificano infatti “tutta una serie di
iniziative - ricostruisce il critico Dino
Menozzi - sorte e sviluppatesi in Guastalla e
che costituiscono i primi studi, i primi
tentativi di approccio organico al |
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fenomeno nelle sue individualità e nel suo
complesso". Si riferisce alle prime mostre
proposte da Nevio Iori assieme agli amici James
Malaguti e Giancarlo Monticelli, ai primi
articoli pubblicati sulla Gazzetta di Reggio, ai
proficui rapportiinternazionali di assoluto
livello con personalità del settore come Oto
Bihalji-Merin e Anatole Jakovsky. Sono gli anni
del boom: si va dalle calate domenicali nella
Bassa reggiana di galleristi milanesi e
bolognesi con i soldi in contanti per
rastrellare quadri (in alcuni casi con alte
quotazioni di mercato) sino ai pittori in
spasmodica autopromozione, per non parlare delle
improvvisate mostre in negozi, bar, osterie,
persino all’oratorio. Un discorso a parte
riguarda il corniciaio-artista Mario Daolio e il
suo luogo di lavoro. Una bottega aperta prima in
via IV Novembre, poi in via Verdi, di fronte al
teatro. E’ l’indimenticabile “Piccola Margutta”,
il cenacolo guastallese dell’arte vissuta come
spontaneità, confronto di stili, voglia di
esprimersi in un mix di amicizia e rivalità fra
pittori. Un ritrovo, anche un po’ guascone, di
artisti dalle tante anime che esprimono nei
quadri il loro temperamento e le inconsce
aspirazioni. E da quell’incubatrice sono passati
tipi particolari di sognatori: i naifs. A
battezzarla “Piccola Margutta” ci pensò il
critico Iori, a spingere per farvi delle mostre
(spesso collettive, di domenica e in occasione
delle due fiere di Guastalla) un prete-pittore,
l’impareggiabile don Ambrogio Morani, pure lui
gravitante su via Verdi, in quanto risiedeva
nella canonica annessa alla chiesa ottagonale
dell’Immacolata Concezione. Sacerdote che a
partire dagli anni Sessanta si calò, in un amen,
nel ruolo di padre spirituale dei naifs, su
mandato non casuale del vescovo Gilberto Baroni,
preoccupato a quell’epoca del “dominio” nel
settore dell’intellettuale di sinistra Cesare
Zavattini. Una storia dal sapore guareschiano.
Quindi da una parte Za che “al valore e ai
compiti della naivetè ha creduto fortemente e
per essi si è impegnato con grande
determinazione delineando i termini
dell’evoluzione storica del “fatto naif”, come
forma d’arte popolare e ingenua storicamente
connotata fin dai secoli addietro (dagli ex voto
alle insegne da osteria, alle tavole dei
cantastorie In via Trieste l’abitazione
dell’apprezzato critico d’arte Nevio Iori La
bottega del corniciaio-artista Mario Daolio, in
via Verdi, battezzata la “Piccola Margutta”
Primavera Naïf 9 ed altro) prefigurando persino
un’idea di organizzazione nazionale del “Premio”
con epicentro Luzzara”. Dall’altra un prete - in
arte Brommo - propositivo che darà pure lui
parecchio impulso alla creatività naive
nell’area rivierasca del Po: “Cominciò a
dipingere nei lontani anni ’60 - aveva
tratteggiato la figura del sacerdote-pittore il
critico Giuseppe Amadei - dimostrando, subito,
un’eccezionale predisposizione per la pittura ed
un grande amore per l’arte, palesandosi
attraverso un’espressione naive, assente da
ambizioni personali, mettendosi a capo del
movimento naif della Bassa reggiana, dando così
sfogo al suo autentico estro pittorico e, come
al solito, senza scopo di lucro e di gloria, ma
solo per incoraggiare ed aiutare dimenticati
artisti della domenica e per soddisfare i suoi
lungimiranti ed ingenui occhi”. Da allora a
Guastalla tant’acqua è passata sotto il ponte
sul Po, non è più il tempo di artisti solitari,
emarginati se non selvaggi o di aridi dilettanti
imitatori. Resta chi ci ha creduto fino in
fondo. In questi anni hanno avuto, infatti, ben
più importanza la passione, l’impegno anche sul
piano della tecnica con la manualità che si
affina, la ricerca di una propria caratteristica
espressiva e la capacità - da veri comunicatori
- di attrarre positivamente un pubblico che si è
via via espanso e consolidato. Il naifismo nel
suo genere è quindi un indubbio fatto storico.
Un movimento che, a buon diritto, continua ad
essere una “voce” non sopita nel “coro”
dell’arte contemporanea.
Tiziano Soresina giornalista e scrittore |
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Espongono: Gianni
Bagni, Mirko Bajsic, Brenno Benatti, Fausto
Bianchini, Bruno Biazzi, Luigi Camellini, Paolo
Camellini, Manola De Gobbi, Dino Fiorini,
Paolo Incerti “Pavel”, Rafael Leon,
Luciano Lipreri, Amedeo
Marchetti, Franco Mora, Carlo Moretti, Antonio
Motta, Mario Orsini, Gianni Pontiroli, Natale
Rovesti, Gianni Verona |
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